PERSONE CHE FANNO ACCADERE COSE

La parte migliore di Apple non sono i suoi iPhone o iPad, bensì i suoi ingegneri, chi disegna e realizza i dispositivi. La stessa cosa succede in tutte le imprese perché sono le persone che fanno accadere le cose. Così dice Philip Kotler, economista ed esperto in marketing, docente titolare dal 1988 della cattedra di International Marketing S.C. Johnson & Son presso la Kellogg School of Management nell’ottimo libro di Francisco Alcaide Hernàndez (Imparando dai migliori, Anteprima edizioni).

In un mondo dove i consumatori grazie ai social network hanno conquistato un potere maggiore sui brand, rispetto a quanto i brand non avessero su di loro fino a qualche anno fa, non è più il prodotto puro e semplice a farla da padrone. Sono i servizi.

Un esempio su tutti? Rimaniamo nell’ambito della guerra tra smartphone. Aldilà delle tifoserie da stadio tra chi si divide nel mondo android o nel mondo Apple, è ormai innegabile che qualsiasi telefono (parola arcaica rispetto a smartphone) si scelga, la differenza tra un brand e l’altro è molto sottile a livello di qualità effettiva. Sono tutti degli ottimi strumenti, qualsiasi cosa se ne voglia fare.

Al marketing ancora una volta starà vincere la battaglia (“il marketing non è una guerra di prodotti, è una guerra di percezioni”) per la devozione del cliente, ma si tratta davvero a questo punto, solo di costruire dello storytelling. Perché allora, Apple sembra essere sempre un passo avanti nella concezione base delle persone?

Per due motivi. Il primo è essenzialmente di immagine. È il telefono più costoso, ed è funzionale al 100% solo se connesso ad altri device Apple. Se hai un iphone, la tua immagine è immediatamente un po’ più rich.

Ma è il secondo, la vera carta vincente: i servizi. Avete un problema col telefono? Un giro nello store e vi viene cambiato subito. Ci sono mille persone pronte ad aiutarvi qualunque sia la vostra necessità. Plus, corsi di utilizzo del Mac e dell’iPad. Compreso corso di montaggio video. Gratis.

Certo, dovete avere un loro dispositivo per poter fare tutte queste cose, ma provate a farle con il device di un altro brand.

Questa, che non è un esaltazione del brand di Cupertino, che ha anche altri lati meno simpatici, è però un esemplificazione di cosa funziona oggi, e la cosa straordinaria è che è assolutamente semplice. Si sintetizza in sole quattro parole: “il cliente al centro”.

Non “il cliente ha sempre ragione”; non “soddisfatti o rimborsati”; non “prendi tre e paghi due”.

Il cliente al centro significa che le sue esigenze di interazione col tuo prodotto hanno valore pari al suo acquisto. Anzi, di più, perché fidelizzano il cliente e lo rassicurano nella scelta del prossimo device negli anni a venire.

L’informazione di valore è una moneta di scambio imprescindibile oggi, per chiunque. Basti vedere quante persone cercano su youtube dei tutorial per qualsiasi cosa, anche fosse accendere la macchinetta del caffè. E, ovviamente, se l’azienda che produce quelle macchine ha un piano di comunicazione efficace, sarà lei stessa a creare quei video.

Se abbiamo detto che lo step fondamentale oggi non è solo il prodotto, ma anche e sopratutto il servizio legato ad esso, come in una scatola cinese, anche il servizio ha delle condizioni necessarie per poter essere goduto dal cliente.

Dev’essere gratuito,

deve essere semplice,

deve se possibile intrattenere.

Pensate che l’ultimo punto sia un plus? Sbagliate di grosso. Se così fosse una grossa fetta di siti (Aranzulla, uno su tutti) oltre che lo stesso youtube avrebbe una grossa fetta di pubblico in meno, mentre istruzioni cartacee e bugiardini la farebbero da padrone.

L’elemento intrattenente non è da sottovalutare, ed è parente prossimo dell’uso che le aziende fanno per pubblicizzarsi attraverso gli influencers, con la grossa differenza se vogliamo, che un’azienda con un buon reparto marketing è in grado di produrre in autonomia i propri video.

Dov’è il problema? Ce ne dev’essere sicuramente uno.

Certo che c’è. Ed è il format.

Se gli elementi imprescindibili sono gratuità, semplicità e intrattenimento, come condensare tutti e tre in un qualcosa (un video, poniamo) che possa davvero piacere al pubblico e che sia replicabile?

Non è facile.

Non era facile nemmeno per Tom Dickson, ingegnere nato a San Francisco che nel 1975 fonda la Blendtec, azienda produttrice di frullatori e mixer da cucina.

Sebbene i prodotti fossero tra i migliori presenti sul mercato, le vendite non decollavano perché la Blendtec non era conosciuta al grande pubblico, e nel 2006 Dickson rischiò grosso.

La decisione che diede la svolta la prese assumendo l’esperto di marketing George Wright, il quale un giorno notò dei piccoli cumuli di segatura accanto ad alcuni frullatori in produzione. Dickson gli disse che testava quotidianamente forza e resistenza dei frullatori, e poco prima aveva provato con alcuni pezzi di legno spessi 5 cm, riducendoli in segatura.

A quel punto Wright ebbe il colpo di genio: uscì dallo stabilimento e acquistò alcune biglie di vetro spesse, palline da golf e un rastrello spendendo in tutto solo 50 dollari, poi tornò alla Blendtec e convinse Dicknson a stare davanti ad una telecamera con un camice da scienziato e a farsi riprendere mentre azionava il suo frullatore che faceva a pezzi tutte quelle cose. Il video diventò virale, tanto che l’azienda continuò con questo format intrattenendo milioni di persone mentre i loro frullatori distruggevano qualsiasi cosa. Sì, anche gli iPhone. Con soli 50 dollari, il fatturato dell’azienda salì tra il 2006 e il 2008 del 700%. Questa case study ha almeno due meriti: dimostra che non conta quale sia il prodotto, conta quale sia il format; e inoltre, che una comunicazione tremendamente efficace non ha per forza bisogno di enormi budget.

Basta che sia gratuita, semplice e intrattenente.