ESERCIZI DI LEADERSHIP

Ci sono due tipi di persone nel mondo del lavoro: coloro che preferiscono il lavoro individuale e quelli invece che prediligono quello in team. Come nello sport.

Per questo motivo non sempre le condizioni lavorative sono le migliori per chi deve affrontare un progetto: lavorare in team richiede una sinergia che i solisti, vuoi per inclinazione o per semplice abitudine, fanno fatica a dare e accettare.

Come risolvere la questione?

Il problema delle aziende è spesso che si trovano ad avere singolarmente degli ottimi professionisti che però una volta messi in gruppo stridono. Dando a Cesare quel che è di Cesare, è anche vero che non sono molte le aziende che puntano sulla risoluzione di questa problematica alla radice e fin da subito. Ci avevano provato negli anni ’90 fino a inizio duemila quando il mantra sembrava essere “team building”, e si obbligavano i dipendenti a fantozzesche sfide a paintball o all’attraversamento in gruppo del ponte tibetano. Ma oggi, vent’anni di esperienza dopo, si è finalmente capito che queste cose hanno solo il potere di unire di più chi è già coeso ma non hanno effetto su chi invece non lo è.

C’è una figura che è però la chiave di volta di tutto il team, la figura su cui puntare per equilibrare l’intero gruppo di lavoro: il team leader.

Non si possono richiedere agli elementi del gruppo cose che mancano al team leader. In primis per coerenza, e in secondo luogo perché la persona che gestisce le operazioni deve poter decidere in autonomia cosa va bene e cosa no. O meglio, chi va bene e chi no.

Questo significa che il team leader deve essere consapevole di portare solo, lui, il peso dell’eventuale fallimento e di lasciare le luci del successo ai talenti della squadra.

Il team leader deve interfacciarsi con soggetti diversi ogni giorno e deve, nel rispetto della loro individualità, saperli coordinare per il raggiungimento dell’obiettivo comune.

Pensate ad un direttore d’orchestra e penserete bene.

Non pensate però a Riccardo Muti e agli applausi che riceve – meritatamente – dopo ogni esibizione. Pensate a voi, lì sul podio ad inizio concerto: non siete parte dei musicisti e non siete parte del pubblico, che peraltro neanche vedete perché gli date le spalle. Quel pubblico che nella vita aziendale, sono i clienti. Dovete ancora dare prova delle vostre capacità (perché il pubblico dovrebbe pagare un biglietto per vedere proprio voi? Perché i clienti dovrebbero pagare proprio il vostro prodotto/servizio?) Siete soli fisicamente e psicologicamente, al comando di un insieme di ingranaggi molto complessi che devono girare assieme o la macchina si bloccherà. E in quel caso la responsabilità sarà non degli ingranaggi, non del pubblico, vostra. Bisogna mettersi in testa una cosa: ci sono siti pieni zeppi di consigli e su ricette di cosa debba avere un team leader per essere un buon team leader, ma la verità è che si può riassumere con due sole qualità. Resilienza e generosità.

Resilienza perché come per il direttore d’orchestra tutti gli occhi saranno puntati su di lui: il suo capo, i suoi sottoposti, i suoi clienti, i suoi recensori. Ci vuole tempra per andare aventi sotto stress nei giorni normali, figuriamoci in quelli difficili. E generosità, perché nonostante il disegno chiaro di dove andare sta a lui/lei trasmetterlo al gruppo sapendo che ognuno lo percepirà con il proprio filtro. Quindi vuol dire che quel filtro deve conoscerlo. Che non significa assecondare i capricci dei propri dipendenti. Significa essere empatici.

Questo porta ad un punto nodale che è bene chiarire subito: non tutti sono portati per fare il team leader. Come non bastano le competenze per fare di ogni singolo membro, un buon membro del gruppo, a maggior ragione chi sta al comando deve ispirare tutto ciò che chiede ai propri sottoposti.

Se per primi non hanno i requisiti che si richiede agli altri è inutile stare a girarci attorno, le persone non staranno più a sentire e ci saranno problemi. È solo una questione di tempo.

Essere dei capi è facile: basta avere il proprio nome sulla targhetta più in alto degli altri nella gerarchia aziendale. Essere dei buoni leader non è la stessa cosa, occorre qualcosa in più.

Più che la formazione del team (che comunque non va trascurata) oggi più che mai vista l’era di smart working in cui viviamo, dove tutti i membri del gruppo spesso e volentieri non sono fisicamente vicini, ci vuole una gestione che sappia il fatto suo e che stia “sul pezzo” senza mollare la presa.

Fatevi questa domanda: la mia azienda ha un team leader con i requisiti giusti? Ho fatto tutto quello che era giusto e in mio potere fare per formare (o cercare) una professionalità in linea con le esigenze di sinergia e competitività del team? Se la risposta è no, non preoccupatevi. Ammettere le proprie debolezze è il primo passo per superarle davvero. Cosa farete per superarle, segnerà da ora in poi un punto di non ritorno per voi e la vostra azienda. L’utilizzo di professionisti esterni che aiutino a valutare con distacco la situazione è la cosa migliore, come quando un buon amico vi apre gli occhi sulla persona che frequentate e che è la causa dei vostri guai, ma non avete la forza di vederlo perché troppo coinvolti. Una consulenza e una formazione del personale fatta da persone che capiscono bene il pericolo che corre un’azienda e che hanno gli strumenti per rimetterla in carreggiata e farla partire in quarta, fa quindi tutta la differenza del mondo.

E, fortunatamente, è proprio il nostro mestiere.